Cobra Kai

Non è giusto ciò che è giusto: è relativo.

Cobra Kai. C’è chi ha collegato subito e chi ha dovuto sentire il nome di Daniel Larusso per esclamare cazzo, Karate Kid!.
Ma non seguiremo più lo sfigatello che ci ricordiamo dagli anni ’80, adesso è un imprenditore di successo, un popolare con moglie milf e figliuola dedita alla responsabilità.
Ma questa serie si chiama Cobra Kai, non Karate Kid IV, quindi seguiremo il nemico di Daniel Larusso, Johnny Lawrence, proprio il biondino sconfitto dalla mossa dell’airone zoppo di Daniel.

Statisticamente chi si sente re a 16 anni fallisce nella vita superata l’adolescenza. E infatti, non è nemmeno riaperto il Cobra Kai che Johnny Lawrence ha già perso il lavoro, con moglie e figlio che lo ripudiano e un monolocale veramente di merda.
Ma la morale che gli sfigati, poi, riescano nella vita perché sono i buoni, l’avevamo già imparata con ben tre capitoli di Karate Kid.

Ma il tempo passa per tutti ed è relativo; quindi adesso è Lawrence, come appena detto, ad essere uno sfigato e Larusso ad essere il figo.
Avete mai sentito qualcosa sulla relatività? Oltre questa cosa sul tempo, è importante il punto di vista dell’osservatore, che sarebbe una morale importantissima per le favole delle future generazioni, Cobra Kai lo fa.
Seguiamo la storia dal punto di vista di Lawrence, con un patrigno stronzo, un ragazzino (l’ultimo sfigato, Larusso) che gli soffia la ragazza e lo batte pure al torneo. Che fa, allora, la figura paterna di riferimento, quindi il sensei?
Spacca il trofeo e quasi strangola Lawrence.
Cioè il buono io lo vedo in un ragazzino che non diventa, nell’America dei serial Killer, un qualche maniaco nazista omicida. Altro che bullo a 16 anni.

Lawrence le ha prese dalla vita, altro che metti e togli la cera. È un uomo a pezzi ma lo stesso Cobra Kai che l’ha segnato, gli offre l’opportunità di redenzione tramite degli sfigati.
Incredibile, siamo riusciti ad uscire dal buono e cattivo assoluto degli anni ’80!
Stiamo imparando che ciò che miyagi aveva insegnato con i bonsai, adesso può essere impartito anche col cinismo e la rabbia.
Perché? Perché è la via giusta per dei nerd obesi, ispanici ed emarginati ai quali la vita sta già pisciando addosso. Non dei Daniel Larusso, che l’unico suo problema era inserirsi a scuola perché appena arrivato da un’altra città. Non c’è paragone.
Danel Larusso, belloccio, simpatico, abborda subito, ma che cazzo vuole di più?
Andiamo a vedere Labbro, che vive male col proprio corpo. Quanta più cerca gli fai passare tanto più vedrà quelle deformità che causano il suo disagio.
Sensei Lawrence non le nasconde dietro perbenistiche moralità; te le addita, te le fa pesare finché non le superi, finché non le sfrutti a tuo vantaggio.
Paragoniamo un belloccio Larusso con un pisciasotto col labbro leporino: solo la spartanità del Cobra Kai, rifiutandolo, è stata in grado di farlo rientrare, senza coprirsi il labbro, con la spavalderia espressa da un cresta colorata.
Problema estetico? Soluzione estetica.
Questo è l’insegnamento, al netto degli errori, che chi ha fatto il bullo può impartire a chi è vittima di bullismo. Sarebbe stato in equilibrio perfetto col passato, ma non solo; ci avrebbe impartito la lezione che, per comprendere appieno qualcosa o qualcuno, dovremmo considerare almeno due punti vista, ovvero trasporre la relatività nei rapporti, nelle empatie. Cazzo, coi nerd sarebbe stato pure necessitato come paragone.
Invece no.
Bisognava allungare il brodo, puntate in più perché oramai siamo abituati ad almeno tre stagioni, in culo a quello che potrebbero insegnare.
Perché non potevamo fermarci a tempo debito? Sarebbe stato il massimo vedere Daniel San perdere contro il Cobra Kai, ma non solo al torneo: nella vita. Fargli notare che siamo tutti esseri umani e tutti possiamo sbagliare, a prescindere da chi si erge a paladino di sto cazzo.
Daniel avrebbe capito che, anche se ha fatto bene nella vita, deve interrogarsi sempre, poiché non esiste il buono o il cattivo, ma è soltanto una questione relativa a chi osserva.

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