Passaparola

Gli specchi sott’acqua

“Hai saputo di Massimo, il mio collega?”
“No”
“Ha il coronavirus, gli hanno messo lo scafandro”.
Qualche settimana prima.
“Forse Massimo ha il corona, ha la febbre alta. Aspettiamo l’esito del tampone”
“Ma stai tranquillo: o febbre o Covid, se non è anziano o non ha problemi respiratori pregressi, la supera facilmente, come una normale influenza”
“Guarda che non è proprio così”
“Ma si, compa’, capace che anche tu l’hai contratto e, senza accorgertene l’hai superato. Rischiano solo anziani e gente che ha problemi, ti dico. Tu e mia cognata, a posto?”.
Quanto posso riuscire ad essere coglione, alle volte.
Mi stava simpatico Massimo, anche sua moglie.

All’inizio tutti sottovalutammo la situazione. Ricordo ancora quando sminuivamo la questione covid con un collega.
“È un raffreddore, tempo che trovano la cura. Minchia in Cina sono un miliardo e tre, è normale che ci siano un bordello di casi; fa’ na proporzione…”
“Anche i morti: ma sai quanti ne muoiono di normale influenza, ogni anno?”.
E quale cazzo era, l’influenza normale?
Quel giorno, al bar Riggi, una stampa riportava Niente amuchina o mascherine, qui si muore da eroi. Non appena si seppe che un ragazzo del suo staff era anch’esso positivo, iniziò lo sciame di vocali inoltrati.
Una donna di mezza età che accusava il proprietario dell’attività di essere uscito dalla Sicilia e non essersi autodenunciato, apostrofandolo con agitazione; i post di risposta degli amici sui social che facevano tutti più o meno così, grammatica e sintassi a parte: non importa chi ha portato il virus o chi ha incontrato chi: rimanete a casa!
In molti ricordavano la scritta nel bar e i più vi si rifacevano.

Io no. Io volevo che quello, per me, fosse da monito.
Io ero fra quelli che sminuivano, non era il singolo da accusare, da immolare come capro espiatorio. Non tiravo un sospiro di sollievo per sputarlo addosso a qualcuno che potevo essere, ma non ero io.
Ripensai a Massimo, dentro lo scafandro, e immaginai un palombaro, isolato come lui e con il tubo che lo limita nella libertà ma che gli consente di respirare.
Immaginai così anche gli haters, che in Giuseppe trovarono il signor Malaussène, e gli amici, che ne prendevano le parti quasi per fede, sempre tirando quel sospiro di sollievo.
Né l’una né l’altra fazione si curava d’essere in uno scafandro col tubo che immetteva loro convinzioni e li faceva sì respirare, ma non li faceva vedere oltre l’esiguo oblò, ovattando e filtrando la realtà circostante. E non gli consentiva di allontanarsi troppo, per esplorare.
La giuntura dello scafandro è sopra la testa, lontano dal campo visivo; e sott’acqua non ci sono specchi.

Lascia un commento